Abilitazione all’insegnamento, un gruppo di laureandi scrive al ministro Bianchi

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un gruppo di laureandi della Facoltà di Lettere dell’Università telematica eCampus indirizzata al Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi.

“Egregio Sig. Ministro Prof. Patrizio Bianchi,

siamo un gruppo di laureandi della Facoltà di Lettere dell’Università telematica eCampus. Abbiamo letto con attenzione la Sua proposta di “Riforma della formazione iniziale e continua e reclutamento degli insegnanti” e sentiamo l’urgenza di scriverle in quanto riteniamo che, se la riforma giungesse a definitiva approvazione così come si presenta attualmente, ciò comporterebbe un grave danno per la nostra carriera lavorativa e per la collettività tutta.

In particolare, Le vorremmo esprimere il nostro sgomento di fronte a un percorso di abilitazione all’insegnamento che continua a dilatarsi e a complicarsi nel tempo – in modo, a nostro parere, irragionevole – e ad appesantirsi dal punto di vista dell’investimento finanziario.

Molti di noi svolgono già la professione di insegnante nella Scuola pubblica con contratti brevi e saltuari, spesso su MAD: a volte si tratta di incarichi sulla medesima classe di concorso per la quale ci stiamo parallelamente formando, altre volte ci viene chiesto di adattarci alle necessità dell’istituzione scolastica.

Anche durante la pandemia non ci siamo mai tirati indietro, ed abbiamo assolto il nostro dovere con grande professionalità, flessibilità e senso civico, formandoci ulteriormente a nostre spese (in quanto, come Lei ben sa, non ci viene riconosciuta neppure la Carta Docente da 500 Euro per poterci pagare corsi e libri necessari a svolgere l’incarico assegnato).

Ebbene, Signor Ministro, dove sta la gratitudine del MIUR e del Governo tutto nei nostri confronti? Noi che abbiamo lavorato e studiato contemporaneamente, spesso senza poter accedere alle 150 ore di diritto allo studio (da chiedere esclusivamente ad inizio anno; ma se la supplenza arriva più tardi?); noi che ci siamo spesi per poterci adeguare alle sempre cangianti richieste del Ministero che Lei rappresenta, richieste riguardanti il raccordo (o, per meglio dire, disaccordo) tra i titoli di studio e le classi di concorso idonee all’insegnamento; noi, infine, che – dopo migliaia e migliaia di Euro già spesi per lauree triennali e magistrali (talvolta con piani di studio senza capo né coda, e con sbocchi lavorativi pari a 0), abbiamo conseguito i famosi 24 CFU in materie socio-psico-pedagogiche, nella speranza di poter intraprendere una professione che è per noi una vocazione e non un comodo ripiego.

Ebbene, Sig. Ministro, la gratitudine si è trasformata in un atto di profonda ed irragionevole ingratitudine, in particolare riguardo ai seguenti punti della Sua proposta di riforma: ci si presentano altri 60 CFU aggiuntivi rispetto alla Magistrale che stiamo per conseguire (e ad eventuali altri titoli già conseguiti, es. master), senza riconoscere minimamente quanto già da noi conquistato a prezzo di gravi sacrifici. La Sua riforma svuota il valore legale del nostro titolo di studio, disconosce la validità di tutte le materie inerenti le metodologie didattiche e l’ambito socio-psico-pedagogico già comprese nel piano di studio. Inoltre, aspetto gravissimo, la proposta di riforma non fa nessuna menzione dei 24 CFU già acquisiti da molti di noi, lasciandoci facilmente immaginare che i 60 CFU saranno aggiuntivi rispetto a questi 24. Un assurdo carosello di continui cambiamenti nella normativa a spese degli studenti e delle loro famiglie!

Nella proposta, inoltre, si evince una – a nostro parere assurda ed inutile – quadrupla valutazione degli aspiranti docenti: 1) prova finale al termine della laurea Magistrale; 2) prova finale al termine del percorso universitario dei 60 CFU, la quale però – seppur dia esito positivo (citiamo testualmente dalla bozza di riforma) “non costituisce titolo di idoneità né dà alcun diritto relativamente al reclutamento in ruolo al di fuori delle procedure concorsuali per l’accesso ai ruoli a tempo indeterminato”; 3) prova concorsuale che, se svolta con le modalità degli ultimi concorsi “a crocette”, con tassi di superamento bassissimi, significherebbe uno sbarramento penalizzante per gli ingenti bisogni educativi della scuola. E poi, Sig. Ministro, siamo davvero certi che un buon docente lo si possa valutare con un concorso di stampo mnemonico e nozionistico?; 4) anno di prova con necessità di valutazione finale da parte del tutor, e questo nonostante nel percorso dei 60 CFU fosse già incluso un periodo di tirocinio, valutato mediante apposita prova finale! Un percorso a ostacoli, un insulto alle nostre intelligenze e al nostro impegno di anni ed anni sui libri (e nelle classi scolastiche dove, quando serviamo per mancanza di personale, veniamo assunti senza andare tanto per il sottile sulla corrispondenza dei titoli!).

Un percorso leggermente diverso è quello del 30 CFU + Concorso + 30 CFU, proposto – in fase transitoria fino al 31 dicembre 2024, ed accessibile anche ai precari con 3 anni di servizio. Anche in questo caso la proposta di riforma lascia intravedere una pesante lacuna normativa: i 3 anni di servizio di cui parla sono necessariamente anni sulla specifica classe di concorso per la quale l’aspirante docente sta cercando di abilitarsi? Se sì, che fine fa tutta quella serie di esperienze di insegnamento a-specifiche, eppure estremamente formative, valide dal punto di vista socio-psico-pedagogico, delle metodologie didattiche generali e della competenza umana a 360 gradi del docente?
Infine, riteniamo assolutamente irrispettoso delle condizioni di vita personali e professionali di molti aspiranti docenti (spesso anche con famiglie a carico) che questi percorsi di abilitazione 30+30 prevedano la stipula di un contratto part-time, il quale non consentirebbe per un intero anno al lavoratore/lavoratrice di poter ricevere un salario adeguato, sia per il mantenimento della propria famiglia che per il pagamento di questi costosi ulteriori studi richiesti dal percorso dei 60 CFU da Lei ideato.

Riguardo le problematiche da noi qui sopra espresse, Signor Ministro, e all’insegna di un atteggiamento collaborativo e costruttivo – e non di mera critica fine a se stessa – ci terremmo a sottoporLe alcune proposte che, siamo sicuri, sarebbero più che ragionevoli e meriterebbero la Sua considerazione in vista degli emendamenti da apportare alla riforma, fino all’approvazione finale; tali proposte sono: il ritorno a un raccordo vero, serio e puntuale tra il mondo dell’università e il mondo del lavoro (e, in particolare, della professione docente): non è più ammissibile che lauree che danno accesso a determinate classi di concorso per l’insegnamento non abbiano già al loro interno, come materie fondamentali del piano di studi, tutti quegli insegnamenti poi concretamente richiesti per l’accesso alla relativa classe di concorso.

Questa mancanza, dolorosamente sperimentata da molti di noi, fa sì che dopo aver terminato la laurea magistrale, si debbano andare a colmare, acquistando corsi singoli o master di completamento, molti CFU necessari per insegnare e tuttavia non previsti originariamente dal piano di studi (magari ricolmo di insegnamenti meno pregnanti rispetto allo sbocco naturale del corso di laurea). La Sua proposta di riforma aggrava questa situazione già scandalosa vanificando, come già detto, il valore dei 24 CFU già conseguiti da molti di noi; chiediamo pertanto, innanzitutto, che chi possiede già questi 24 CFU possa vederli “scalare” dai 60 CFU richiesti dal nuovo percorso (dei quali 30 sarebbero in materie socio-psico-pedagogiche del tutto analoghe a quelle dei 24 CFU).

Chiediamo anche che sia snellita la procedura di accesso all’abilitazione all’insegnamento e all’immissione in ruolo, evitando il quadruplicarsi di procedure di valutazione su laureati magistrali, i quali hanno già sostenuto la discussione di una prova finale di carattere accademico con valore legale. Proponiamo che le competenze aggiuntive rispetto a quelle strettamente disciplinari, di carattere didattico, metodologico e socio-psico-pedagogico, siano sempre più integrate all’interno dei piani di studio delle lauree triennali e magistrali, a discapito di altri insegnamenti senza dubbio interessanti ma meno centrati rispetto agli sbocchi naturali delle suddette lauree; chiediamo il ripristino dei PAS (Percorsi Abilitanti Speciali), percorsi formativi di durata annuale finalizzati al conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento, riservati a coloro i quali abbiano prestato almeno 3 anni di servizio – dei quali, tuttavia, chiediamo che solo 1 sia specifico sulla classe di concorso per la quale si richiede l’abilitazione;
qualora venga confermata la prova finale relativa al percorso universitario dei 60 CFU, chiediamo che questa dia diritto al reclutamento anziché essere una valutazione vuota e puramente pro forma;
chiediamo che venga ridata dignità a numerosi laureati i quali, pur avendo conseguito una laurea magistrale, vengono incredibilmente esclusi da classi di concorso per le quali invece avrebbero competenze e professionalità (ad es. Scienze cognitive ex 63-S: laurea specialistica equipollente a Psicologia senza alcuna classe di concorso; classe di concorso A23 per l’insegnamento della lingua italiana agli stranieri, considerata classe-fantasma perchè ad accesso limitatissimo).

Ci troviamo, Sig. Ministro, nell’assurda situazione di ricoprire ogni giorno un incarico nelle scuole italiane, con responsabilità enormi (ed enormi soddisfazioni!) nei confronti dei nostri alunni e delle loro famiglie, nonché dello Stato che ci invia a tirare fuori il meglio dai cittadini del domani… ma quando desideriamo abilitarci ed essere immessi in ruolo per quella professione che GIÀ svolgiamo ci si presenta un cammino lungo anni ed anni, irto di complicazioni burocratiche, di oneri insostenibili, che ci avvilisce e ci scoraggia…”