Giuseppe Novelli, responsabile della Genetica medica al Policlinico Tor Vergata di Roma, spiega quali meccanismi sono alla base di questa ‘risposta innata’
“Come per tutte le malattie infettive, anche per il Covid-19 la predisposizione a contrarre l’infezione in forma più o meno grave è determinata da un insieme di fattori che sono in parte di natura genetica ed in parte di natura ambientale. I fattori genetici sicuramente influiscono nel determinare un’aumentata suscettibilità all’infezione oppure, al contrario, possono contribuire a rendere un soggetto resistente o, se vogliamo, immunotollerante rispetto ad un determinato agente infettivo. Il nostro obiettivo è scoprire anche per il Covid chi sono questi soggetti”. Giuseppe Novelli, responsabile della Genetica medica al Policlinico Tor Vergata di Roma, autore di uno studio sull’immunità naturale al Covid-19, all’agenzia Dire ha spiegato quali meccanismi sono alla base di questa ‘risposta innata di alcune persone’ e ha inoltre affrontato il rapporto tra vaccino e genoma.
“Prendiamo l’Hiv per esempio: il virus- ha chiarito l’esperto- utilizza dei recettori di parete come porta di ingresso all’interno della cellula, tra cui CCR5, espresso sulla superficie dei linfociti. Ci sono persone che presentano una mutazione inattivante a livello di questo recettore, che pertanto non funziona. Dunque, questi soggetti diventano resistenti ai ceppi di Hiv che hanno bisogno di legarsi a CCR5 per infettare la cellula”.
Una sorta di trincea naturale: “La difesa immunitaria, semplificando, è composta principalmente da tre ordini di difesa: una barriera fisica, una difesa chimica, ed una risposta biologica. L’immunità innata- ha sottolineato Novelli- rappresenta la prima linea di difesa messa in atto dal nostro corpo nei confronti di un agente esterno. È definita innata perché aspecifica, uguale per tutti gli agenti patogeni e soprattutto non selettiva. Ovviamente, deficit a carico del sistema immunitario innato comportano una condizione che facilita enormemente l’ingresso del patogeno all’interno dell’organismo, ma non sempre un’aumentata risposta comporta un sistema difensivo maggiore. Sappiamo ormai tutti che esistono le cosiddette patologie autoimmuni. Anche nel Covid-19, in molti pazienti, soprattutto i più giovani, gli esiti della malattia sono causati da un’eccessiva attivazione del sistema immunitario. Una sorta di iperinfiammazione. Diversa, invece, è l’immunità adattativa o specifica. In questo caso, l’organismo ha avuto modo di ‘conoscere’ il patogeno, di studiarlo. Ciò permette alle nostre cellule di rispondere in maniera efficace e specifica, attraverso la produzione sia di anticorpi, e da qui anche l’importanza della terapia con gli anticorpi monoclonali, sia di cellule di memoria. Anche in questo caso, una maggiore risposta non è sinonimo di una maggiore immunità. L’immunità innata e quella specifica non devono essere considerati due step consecutivi, ma agiscono sinergicamente- ha sottolineato- e sono in equilibrio dinamico fra di loro”.
– E il rapporto tra questi nuovi vaccini e il genoma?
“I vaccini ad mRNA non hanno alcun impatto sul genoma del ricevente. E’ stato di recente dimostrato- ha detto il genetista- soltanto per il vaccino Pfizer, di alcune reazioni avverse lievi come brividi, febbre, affaticamento e malessere più presenti nei soggetti con alcune caratteristiche genetiche: presenza del marcatore HLA A*03:01, ma questo è piuttosto comune per molti farmaci”.
Novelli ha risposto anche sulla questione dell’opportunità di una campagna vaccinale di massa. “La Covid-19 è una malattia complessa e multifattoriale e il virus è solo il trigger (l’innesco). In ogni pandemia- ha ricordato- i fattori principali in gioco sono tre: il patogeno, l’ospite, e l’ambiente. Il patogeno è importante perché muta e varia; l’ospite perché altrimenti non avremmo asintomatici, moderati, e malati gravi e questo dipende almeno nel 1% dei casi dai geni che producono interferone. E poi l’ambiente inteso come stile di vita, patologie associate etc… Il rischio dei vaccini è minimo in confronto al rischio di malattia che è molto più grave. Ormai abbiamo numeri incredibili che dimostrano questo senza ombra di dubbio”.
Un principio che secondo Novelli vale quindi per tutti anche per chi, per stato di salute, incorrerebbe in minor pericolo in caso di Covid-19. E per le persone che hanno mutazioni patogenetiche, come il BRCA? “A mia conoscenza- ha chiarito Novelli- la materia non è oggetto di studio. Non vedo il razionale e senza razionale non si fa ricerca”. E ha aggiunto: “Non vi è alcuna correlazione con questo gene o altri geni di rischio oncologico”.
«Agenzia DiRE»

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