Province, si torna all’antico: potere al popolo
L’Italia si prepara a dire addio alla riforma Delrio del 2014 che ha depotenziato le Province trasformandole in enti intermedi, diminuendo le deleghe e cancellando l’elezione diretta, con un’elezione...

L’Italia si prepara a dire addio alla riforma Delrio del 2014 che ha depotenziato le Province trasformandole in enti intermedi, diminuendo le deleghe e cancellando l’elezione diretta, con un’elezione di secondo grado, in cui i consiglieri comunali di tutti i comuni della provincia eleggono presidente e consiglio provinciale.
Una riforma nata con il solo scopo di cancellare le province, sull’onda di un populismo sfrenato, che però è stata azzoppata dal famoso referendum Renzi, bocciato dall’elettorato.
Nel 2024, quindi, precisamente dieci anni dopo la loro abolizione stabilita con la tribolata riforma Delrio, i cittadini potrebbero tornare a votare per eleggere presidenti e consiglieri provinciali.
Il Governo di centro destra ha deciso di fare dietro front. Ne abbiamo già parlato a dicembre dell’anno scorso, quando il sottosegretario al Ministro degli interni, Wanda Ferro ci ha spiegato che il Governo vuole cancellare “un processo di riforma che ha avuto solo effetti negativi, e che vogliamo invertire, innanzitutto ripristinando l’elezione diretta dei presidenti delle Province e delle città metropolitane”.
E nel corso di questi mesi il percorso è andato avanti. Giovedì 1 giugno, infatti il comitato ristretto della commissione Affari Costituzionali del Senato, formato da un rappresentante per ogni gruppo, ha definito una bozza per un testo base sulla riforma delle Province. Disegno di legge che ha davanti a sé un percorso lungo e complicato, dall’esito tutt’altro che scontato. Il testo infatti dovrà prima approdare in commissione per l’esame e da lì, dopo l’eventuale via libera, inizierà l’iter parlamentare.
Cosa cambia?Si torna al passato, sia nel metodo che nei percorsi elettorali. La proposta di legge attuale delega al Governo il riordino del sistema di funzionamento delle Province, della normativa in materia di indennità e l’attribuzione di eventuali nuove funzioni.
Nel ddl si parla delle Province come di «enti di area vasta» che esercitano alcune «funzioni fondamentali», come «adozione e aggiornamento annuale di un piano strategico triennale del territorio provinciale», «pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza», organizzazione di servizi pubblici, trasporti, «promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale», «promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in ambito provinciale», raccolta ed elaborazione di dati, rete e edilizia scolastica e, da ultimo, «controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale».
La riforma in esame prevede di restituire il voto ai cittadini, con doppio turno, ma per vincere al primo sarà sufficiente raggiungere il 40 per cento dei voti validi (così come succede in Sicilia per eleggere il Consiglio regionale). Una norma che il centrodestra vuole allargare anche ai grandi Comuni, per cancellare di fatto il ballottaggio.
Le province saranno suddivise in collegi plurinominali (a individuarli sarà il Governo), con assegnazione di un numero di seggi non inferiore a 3 e non superiore a 8. Quindi collegi più grandi di quelli a cui eravamo abituati ma con la possibilità di scegliere il proprio candidato oltre alla lista di appartenenza.
I seggi saranno assegnati con il classico metodo d’Hondt (proporzionale pure) e per accedere al riparto bisognerà superare la soglia di sbarramento del 3 per cento. Alla coalizione che vince sarà attribuito il 60 per cento dei seggi disponibili. Dall’entrata in vigore della legge, il Governo avrà dodici mesi di tempo per disegnare i nuovi collegi plurinominali in cui le circoscrizioni elettorali delle province saranno articolati.
Tuttavia, si potrà andare al voto anche prima che l’esecutivo ottemperi a questo adempimento. Le norme transitorie prevedono che si vada al voto con la nuova disciplina elettorale nel primo turno utile dopo la scadenza dei consigli provinciali in carica alla data di entrata in vigore della nuova legge.
E in assenza dei nuovi collegi, si prevede che la circoscrizione elettorale venga articolata in un unico collegio, corrispondente al territorio della provincia.
I numeri di assessori e consiglieri sono stabiliti sulla base della popolazione. Per quanto riguarda Crotone, il presidente della Provincia potrebbe avere una giunta composta da quattro assessori (due uomini e due donne), mentre il Consiglio provinciale dovrebbe essere composto da 20 consiglieri.
La bozza di riforma poi non prevede la possibilità del voto disgiunto, obbliga di candidare almeno un 40 per cento di donne e stabilisce l’incompatibilità tra assessori e consiglieri (così come avviene oggi nei Comuni), dando così la possibilità ai primi dei non eletti di essere “ripescati”.
Per quanto riguarda la Provincia di Crotone, che dovrebbe rinnovare il suo Consiglio il prossimo dicembre, l’elezione potrebbe essere accorpata alla prima data utile (Elezioni Europee di primavera del 2024).
Gianfranco Turino