Bologna – Molte malattie ematologiche, oggi, sono finalmente curabili. La ricerca scientifica allunga la sopravvivenza, infatti, ma serve una maggiore integrazione tra ospedale e territorio e, soprattutto, occorre trovare il modo di rendere più sostenibili le nuove cure, molto efficaci ma anche molto costose. È il ritornello che anima oggi a Bologna il secondo evento nazionale “Sie incontra i pazienti“, con protagoniste la stessa Società Italiana di Ematologia e le associazioni dei pazienti Ail, Adisco, Admo, Favo, Fedemo, United Onlus.
Spiega durante i lavori e a margine Paolo Corradini, presidente della Sie: “Nella nostra realtà, rispetto ad altri ambiti sanitari, il rapporto col paziente è persino più importante. Il 70% dei nostri pazienti riesce a guarire, o comunque sopravvive all’insegna di un’ottima qualità di vita. Il percorso di cura può essere anche molto lungo, nel senso che alcune terapie si caratterizzano per fasi di mantenimento o consolidamento che durano 12, 24 mesi o più”. Se Sie storicamente si era sempre occupata solo di attività educazionali per i medici e di promozione della ricerca scientifica, nel 2021, appena sfumata la fase più acuta della pandemia, è nato il primo incontro con le associazioni dei pazienti e da allora si continua a innovare. La collaborazione tra Sie e pazienti, come illustrato al convegno di Bologna, oggi funziona: “È stato dimostrato che la qualità della vita dei pazienti che ricevono buone cure domiciliari- continua Corradini- migliora. E migliora la qualità della vita dei caregiver, quindi la nostra vita familiare. In tutto questo, i costi sanitari diminuiscono. Il problema principale che abbiamo di fronte ora, come sistema sanitario, è quello di sostenere le nuove cure: danno risultato straordinari, ma sono anche molto costose”.
“Non è un finto problema, da talk show, ma- avvisa il presidente della Sie- è una questione drammatica che affrontano, e affronteranno nei prossimi 10-20 anni, tutte le società occidentali”. In ogni caso, non si tratta dell’unica sfida all’orizzonte. Se il rapporto col paziente ematologico diventa anche molto lungo, quindi, uno degli aspetti emersi ai lavori di oggi riguarda proprio la nuova ipotesi di riforma sanitaria, che vorrebbe spostare ‘sul territorio’ una vasta serie di attività. “Ma- segnala ancora Corradini- non ci sono medici e infermieri nel paese, dunque la riforma rischia seriamente di essere non attuabile. La territorializzazione della medicina, che si basa anche sulle belle esperienze che abbiamo registrato oggi al nostro evento nazionale, tra terapie domiciliari, palliazione precoce e cure di supporto, potrebbe restare di nuovo sulla carta. Del resto, non abbiamo visto terapie domiciliari del Sistema Sanitario Nazionale per i pazienti ematologici”. Si tratta di questioni da decenni presenti nell’agenda politica nazionale, si rammarica dunque il presidente della Sie, ma continuano a rimanerci.
Tra le esperienze concrete offerte all’evento di Bologna c’è quella di Fabrizio Pane, professore di Ematologia e direttore dell’unità operativa complessa di Ematologia e Trapianti di midollo all’azienda ospedaliero-universitaria Federico II di Napoli. “La sfida vera oggi- puntualizza Pane- è quella di continuare tutto questo lavoro, anche se alcune attività dei protagonisti in campo andrebbero integrate con quelle erogate dal Sistema Sanitario Nazionale. Il rapporto con l’Ssn va fortificato sotto alcuni aspetti”.
Ecco un esempio fornito dal professore: “Il volontariato gestito da Ail, che ha 40 anni di storia, si occupa dei trasferimenti dei malati, così come costruisce e finanzia, grazie alle donazioni, le case Ail, che durante le fasi più intense dei trattamenti avvicinano il paziente a famiglie e istituzioni ospedaliere. Con cure così sofisticate, come quelle che contraddistinguono oggi l’ematologia, è necessario centralizzare questi saperi e queste infrastrutture di cura in pochi centri- raccomanda Pane- di grande complessità e capacità organizzativa”. Nel corso delle sessioni pomeridiane del convegno, fra l’altro, è stato dato spazio anche alle immunoterapie come le Car-T, che usano alcune cellule immunitarie del paziente geneticamente modificate per riconoscere e combattere alcuni tipi di malattie oncoematologiche. Evidenzia su questo Pier Luigi Zinzani, ricercatore dell’Università di Bologna: “Le Car-T in Italia e nel mondo sono la terapia innovativa in questo campo, ad oggi sono stati trattati a livello nazionale in questo senso 500 pazienti. Come Istituto di ematologia dell’Università di Bologna, ne abbiamo trattati 93 e arriveremo a 100 nei prossimi due mesi. Riusciamo a guarire il 40% dei pazienti, che inizialmente non avevano grandi chance. Il 40% è un grandissimo successo, considerando che questa terapia innovativa immunologica è personalizzata di paziente in paziente. L’efficacia potrà aumentare in futuro? Può diventare difficile, ma ci saranno nuovi tipi di Car-T e questo potrà essere un vantaggio per i nostri pazienti”.
Fonte Dire

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