6 settembre 1993 | i Fuochi dell'Enichem - Carlo Turino: «I fuochi sono stati l’ultimo respiro della fabbrica»

Fuochi dell’Enichem – «La prima immagine che mi viene in mente sono i fuochi, perchè hanno rappresentato il momento più alto delle nostre battaglie sindacali e operaie all’interno della fabbrica». A r...

A cura di Redazione
06 settembre 2023 08:00
6 settembre 1993 | i Fuochi dell'Enichem - Carlo Turino: «I fuochi sono stati l’ultimo respiro della fabbrica» -
Condividi

Fuochi dell’Enichem – «La prima immagine che mi viene in mente sono i fuochi, perchè hanno rappresentato il momento più alto delle nostre battaglie sindacali e operaie all’interno della fabbrica». A raccontarci quel 6 settembre 1993 è Carlo Turino, lavoratore dell’Enichem, rappresentante dei lavoratori in Consiglio di Fabbrica, ed uno dei leader della rivolta.
«Quei fuochi sono stati l’ultimo respiro di una fabbrica che da lì a poco avrebbe terminato la propria lunghissima vita».

La notte dei fuochi, la polizia schierata davanti la fabbrica, il fumo, le fiamme sulla strada e dentro la fabbrica. Qual è il ricordo di quella sera?

Turino Carlo – allora Consigliere Comunale MSI – foto dell’epoca

«Quella sera non fu altro che il termine di una giornata lunghissima, noi venivamo da trattative estenunati con l’Eni che mentre c’era il tavolo di Roma aveva già inviato centinaia di lettere di licenziamento senza che ci fosse stata una trattativa, praticamente stavano chiudendo la fabbrica. quel giorno eravamo tutti radunati in fabbrica mentre una nostra delegazione era a Roma in un incontro presso la Presidenza del Consiglio. C’era già stato durante la giornata un primo momento di tensione, quando un lavoratore è salito su una ciminiera molto alta minacciandosi di buttarsi giù e quindi tutta la giornata passò in attesa che qualcuno conivcesse questo operaio a scendere, cosa che poi avvenne verso le cinque e mezza del pomeriggio.
Verso le sette di sera arrivò la telefonata di Rocco Gaetani che era a Roma, in cui ci comunicò che l’Eni non ne voleva sapere e che non c’era più nulla da fare.
A quel punto scoppiò la rabbia in tutti i lavoratori, si cominciò a creare quell’incidente che doveva portare l’opinione pubblica ad interessarsi di Crotone che altrimenti sarebbe stata una delle tante vicende del Sud che finivano in quel momento. La cosa non era facile, innanzitutto perchè eravamo al sud dove non esistevano ancora socialmente delle tensioni simili, secondo perchè si parlava di numeri (700 lavoratori) ridicoli se paragonati ad una fabbrica del nord, ma per una realtà come la nostra significava la fine di un intero territorio. Qualcuno cominciò a dare fuoco a dei cartoni dentro i magazzini, i vigili del fuoco provarono ad entrare ma furono respinti. A quel punto i conteniroti che erano stati posti sul bordo della 106 e che contenevano acqua e fosforo, furono rovesciati e la Polizia provo ad entrare in fabbrica con la forza, caricando e sparando lacrimogini (ne abbiamo contati 260). Gli operai hanno respinto l’attacco della polizia e questo continuò fino a quando qualcuno non tirò delle bottigliette con il fosforo dentro sulla strada, davanti la polizia così da creare un muro di fiamme e fuoco tra gli agenti e i lavoratori, e la polizia, poco alla volta si ritirò sotto il cavalcavia».

Sapevate che al di là della polizia, sopra il cavalcavia c’erano i vostri familiari?

«Lo abbiamo capito tardi, verso la mezzanotte, quando le scaramucce con la Polizia finirono e noi, che eravamo circondati e isolati in fabbrica, sentivamo le voci di amici e parenti che ci chiamavano da lontano».

Una delle pagine più belle di questa rivolta fu scritta dalle donne.

«Si, arrivarono il giorno dopo in nostro sostegno, moglie e madri di lavoratori che occuparono i binari della stazione e con questo gesto portarono la nostra protesta fuori dalla fabbrica e in città».

Se il vostro obiettivo era attirare l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale, possiamo dire che ci siete riusciti perfettamente.

«Assolutamente si! Davanti la fabbrica arrivarono le postazioni mobili di tutte le tv nazionali, ed in fabbrica entrarono i giornalisti di tutte le testate nazionali dal Corriere della sera alla Repubblica. La nostra azione superò i confini locali e regionali, tanto da costringere il Governo a riprendere subito le trattative con l’ENI. Il presidente della Repubblica, Scalfaro, diede la sua solidarietà. Anche il Papa, che era in viaggio all’estero, parlò dei lavoratori dell’Enichem. Il lato negativo di questa “popolarità” fu che vedemmo arrivare in fabbrica quei politici calabresi che, nonstante fossero stati più volte interpellati e avvisati del problema che si portava avanti già da mesi, non avevamo mai visti e che, ora, erano in cerca di protagonismo, il solito sport di saltare sul carro dei vincitori».

Ma fu una vittoria la notte dei fuochi?

«Vincemmo una battaglia ma Crotone perse la guerra».

Le migliori notizie, ogni giorno, via e-mail

Segui CrotoneOk